L’uomo, di origine bengalese, è stato gettato nell’acqua della Darsena da due ragazzi lo scorso weekend. Sulle nostre pagine abbiamo raccontato la sua storia: e in tanti ci hanno scritto…, C’è chi ha scritto per chiedere come poter inviare dei soldi, chi si è già attivato per una raccolta di fondi tra gli amici, chi propone un crowdfunding e chi addirittura offre un lavoro. La storia di Sahabuddin Chokdar, il venditore di rose bengalese che nel weekend tra l’11 e il 12 luglio scorso è stato avvicinato da due ragazzi ai bordi della Darsena, sui Navigli, e scaraventato in acqua, ha mobilitato i lettori di Repubblica. Se c’è un aspetto positivo nell’episodio di violenza gratuita che ha colpito un uomo mite di 55 anni, che vive in una città per lui sconosciuta, migliaia di chilometri dalla moglie e dai cinque figli, è stato far conoscere alla città la sua storia e le misere condizioni di vita sue e di tanti altri suoi connazionali. Sahabuddin Chokdar ha lasciato Madaripur, nel distretto bengalese di Dacca, in Bangladesh, otto anni fa. Il suo lavoro nei campi a coltivare peperoni, cipolle e pomodori, non gli permetteva di mantenere la sua famiglia. “Zio” Sahabuddin, come lo chiamano i suoi amici bengalesi di Milano molto più giovani di lui, è partito dalla Turchia ed è arrivato in Libia. È stato rinchiuso nelle carceri libiche, dove ha subito le violenze ei soprusi della polizia. Poi è arrivato in Italia a bordo di un barcone. Una storia di povertà e violenze comune a tanti migranti, che troppo spesso ignoriamo quando li incrociamo tra i tavolini dei bar e ci chiedono di acquistare una rosa. E invece, dopo l’articolo pubblicato ieri, la storia di Sahabuddin ha smosso i sentimenti migliori dei milanesi. Sui canali social del giornale, molti lettori hanno chiesto come poter inviare un aiuto economico. “Sono un ragazzo pugliese che lavora a Milano. Volevo fare una colletta tra amici per dare un piccolo contributo economico”, ha, Continua a leggere su: La Repubblica
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