Impatto ambientale Ravà (Coima): pannelli solari e pompe di calore, il primo edificio a emissioni quasi zero. Completati due terzi della «scheggia». Ingressi a turni e misure anti-Covid: già rientrati…, Guardandola con l’occhio grandangolare, dall’intasamento stradale all’uscita del metrò Gioia, la nuova torre detta «scheggia» – e più prosaicamente chiamata «Gioia 22» – mostra ormai alla città le sue forme. Arditi trapezi e spigoli prospettici che giorno dopo giorno si ricoprono di vetrate. Ormai ne mancano soltanto un terzo, nonostante il lockdown. Sole chiaro e nuvoloni scuri, il grattacielo testa la capacità di specchiare lo skyline. La struttura s’impone tra i due Pirelloni, in mezzo ai grattacieli di Porta Nuova, finalmente «centro direzionale» dopo decenni di progetti sul quartiere passato al vaglio di una mezza dozzina abbondante di amministrazioni comunali: i terreni delle vecchie ferrovie tra le Varesine e oltre la stazione Garibaldi, dal divenire oggi non ancora concluso. Centoventi metri di calcestruzzo verticale, con tanto di prua e di vela a fare rotta verso i pratoni della Bam, green line di iniziative alla newyorchese. All’orizzonte il futuro dello scalo Farini, destino prossimo delle operazioni immobiliari firmate Coima e Manfredi Catella, e di «P39», il «Pirellino», la torre dell’asta dei record da 85 rilanci (e 190 milioni di euro) che sovrasta il traffico di via Melchiorre Gioia. Scheggia di Vetro, com’è fatto il grattacielo sostenibile che nel 2020 sorgerà a Milano Gioia 22 All’interno si lavora in sequenza, delle 280 persone pre-virus, dopo un mese dalla ripartenza ne sono tornate in cantiere già 220. Alla ditta Colombo costruzioni hanno edificato la nuova normalità, tra ingressi scaglionati (per far entrare tutti ci vogliono ben due ore, dalle 6 del mattino) e operazioni calibrate in spazi comunque poco rischiosi, poiché ampi o ventilati. Spostamenti degli operai, dispositivi di protezione, problemi con le forniture, «alla fine il lavoro procede più agile del previsto» – spiegano dal cantiere – anche se i tre mesi di stop inevitabilmente si tramuteranno in un ritardo di cinque, Continua a leggere su: Corriere.it
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