Per il tecnico toscano, dopo una carriera spesa all’inseguimento dell’utopia, sarà il primo vero trofeo italiano. Per conquistarlo ha dovuto accettare dei compromessi, adattarsi alla situazione, Uno scudetto val bene un po ‘di catenaccio, e allora non faccia scandalo quel Sarri che toglie attaccanti (Douglas Costa e Dybala) e mette difensori (Danilo e Rugani), che reagisce ai ragazzetti buttati disperatamente in campo da Inzaghi usando per la prima volta , e per il breve spazio di sette minuti incluso il recupero, la difesa a cinque, che per lui era una specie di tabù. Del resto, lo ha detto lui stesso già un paio di volte, quest’anno: il sarrismo non esiste. E una volta passato il confine, e messa da parte la sua antica intransigenza (più ideologica che tattica), è assolutamente comprensibile che Sarri faccia delle mosse antisarriane. Un tempo le si sarebbe dette trapattoniane. Un tempo, trapattoniano era un fior di complimento. Sarri ha la smania di vincere questo scudetto, e anche questo lo si può comprendere perfettamente: a 61 anni di età, e dopo una carriera spesa all’inseguimento dell’utopia, sarà il suo primo vero trofeo italiano. Per conquistarlo ha dovuto cambiare se stesso, accettare dei compromessi, adattarsi alla situazione: per qualcuno questo è stato un tradimento dei valori, per altri un grande segno di intelligenza, di maturità, anche di umiltà perché, come dice lui, “chi non si adatta non allena i giocatori, ma sé stesso “. Gli ultimi minuti di Juve-Lazio li ha vissuti palpitando, consultando febbrilmente il cronometro, contando i secondi che mancavano al sospiratissimo fischio finale e poi festeggiando con un saltello e un pugno rabbiosamente stretto, a metà tra l’orgogliosa soddisfazione e il sollievo. Checché ne dica, questo finale di stagione per lui è estremamente logorante, perché ha addosso lo stress di una squadra che a tratti funziona ea tratti sembra squagliarsi e le pressioni di una critica tifosa che non lo ama e delle voci che si rincorrono in merito a un avvicendamento, Continua a leggere su: La Repubblica
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