, Micaela, 39 anni, di Genova, era una commessa, e in piena emergenza Covid ha rinunciato al lavoro per badare ai figli rimasti a casa da scuola. Sabrina, 34 anni, piemontese di Asti, era impiegata, ma al rientro dalla maternità aveva optato per le dimissioni sperando di trovare un lavoro più flessibile: la pandemia ha cambiato i suoi programmi e ora si chiede come potrà trovare una nuova occupazione. Elisa, 38 anni, di Roma, lavora come assistente ai disabili in una scuola, precaria, e dal 9 marzo è a casa senza stipendio, a parte qualche ora pagata grazie alla didattica a distanza e una cassa integrazione che ad oggi ancora non arriva. Tre storie, il racconto di un Paese: sono le donne, ancora oggi, sentire sulle spalle la gestione della famiglia e arrivare a rinunciare al lavoro, in media più precario e mal pagato degli uomini. Chiudendo nel cassetto i loro titoli di studio. Una piaga, quella del divario di genere in tema di occupazione, che il Covid e la chiusura delle scuole hanno ulteriormente aggravato.Lo dimostrano i racconti delle donne e le loro difficili battaglie sindacali, come quella di Micaela le cui richieste all’azienda, fatte al fianco della Uil, sono rimaste inascoltate. E lo dimostrano i dati, come quelli elaborati in un dossier della Cgil Piemonte: le dimissioni volontarie delle donne, ad esempio, nella sola città metropolitana di Torino sono aumentate del 40 per cento tra febbraio e maggio rispetto alla già preoccupante media del 2019. ultime politiche del governo e il Family Act saranno utili? Troppo legati a bonus e congedi, spiega la Cgil, servirebbero riduzioni di orario a parità di stipendio, asili più diffusi e meno costosi. E una svolta culturale. Il rischio, altrimenti, è che un’intera generazione di donne perda la speranza. E la voglia, Continua a leggere su: La Repubblica
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