, Stampa Stampa senza immagine Chiudi Alla fine non c’è stata nessuna estromissione e nessuna revoca. La nuova «Autostrade per l’Italia» che sta per nascere si divide in due fasi. La prima comincerà realisticamente a ottobre e sarà di esistenza pacifica tra Atlantia con il 37%, e Cassa depositi e prestiti che deterrà il 33%, ma potrà giovarsi di un ulteriore 22% che gli investitori a lei graditi acquisiranno da Atlantia. Poi inizieranno i preliminari per la quotazione in Borsa e la derivazione. Atlantia, controllata al 30% dalla famiglia Benetton, dovrà accettare di contare poco nel nuovo cda, ma questo dipenderà da come verrà scritto l’accordo fra le due parti. La seconda è che al termine dell’operazione di quotazione, la holding dei Benetton sarà presente in Autostrade con l’11%. Al momento questa partecipazione puramente finanziaria vale 1,1 miliardo, cioè 275 milioni per ciascun ramo della famiglia Benetton: quelli riconducibili ai fondatori Gilberto, Luciano, Carlo e Giuliana e ai loro eredi. Per due anni non potranno incassare i dividendi della futura Autostrade per l’Italia (che difficilmente ci saranno visto che il governo intende abbassare le tariffe del 5%). Alla fine di questa complicata trattativa il tema principale ma resta sempre lo stesso: come saranno gestiti i 3000 km di autostrade che sono l’oggetto della concessione? Negli accordi firmati la notte di martedì 14 luglio a Palazzo Chigi c’era la richiesta di manleva pubblica per eventuali responsabilità di omesso controllo da parte del ministero dei Trasporti per il crollo del viadotto Polcevera. Non è passata. Sono 21 gli indagati al dicastero allora guidato da Danilo Toninelli e ora da Paola De Micheli, perché quel 14 agosto c’era un concedente, il ministero dei Trasporti, con le funzioni ispettive condivise con i vari provveditorati regionali. Nessuno ha guardato le porcherie che stava, Continua a leggere su: Corriere.it
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