Milano, 24 ott. (askanews) – Ci sono Paesi che in autunno sembrano rallentare apposta, come se volessero ricordarci che il tempo serve a capire, non solo a correre. L’Ungheria è uno di questi. Quando le colline si accendono di rame e oro e le prime nebbie arrotolano il Danubio, diventa un invito gentile a uscire di strada, a prendere la deviazione che non avevamo previsto.
Il viaggio comincia spesso da Tokaj, nome che evoca botti antiche e mani che conoscono la pazienza. Qui, sotto la superficie, le cantine scavate nella roccia conservano un vino che i re chiamavano Aszú, ma che oggi basta a scaldare chiunque abbia voglia di sedersi e ascoltare. Il vino, in autunno, ha sempre ragione.
Più a nord, tra le alture di Zemplén, c’è chi sceglie un’altra forma di vertigine: quella dei ponti sospesi del Parco Avventura, dove i bambini ridono e gli adulti fingono di non avere paura. È il segreto dell’autunno ungherese: mettere insieme lentezza e adrenalina, silenzio e meraviglia.
Poi arriva Budapest, come un finale che non chiude ma apre. La capitale è un teatro d’acqua e di pietra, di bagni termali e caffè dove si potrebbe restare a scrivere per ore. Lì, tra un gulasch e una sinfonia di paprika, si capisce che anche la malinconia può essere ospitale.
A novembre, quando si celebra San Martino, il vino nuovo scorre come una promessa. Le piazze si riempiono di luci e di mercatini, profumo di miele e vin brulé, e il freddo non è più un nemico ma un pretesto per restare insieme un po’ di più.
L’Ungheria in autunno è una stagione che si allunga dentro chi la attraversa. Un modo di dire che la bellezza, a volte, non urla matura.



